Il progetto di Cairo: "Uno stadio del Toro? La cosa ci interessa, servono i passi giusti"

Dogliani è tornato ad essere un piccolo villaggio globale, incastonato nel cuore della Langhe. Ieri si è alzato il sipario sul Festival della Tv, tra volti noti del piccolo schermo e star del cinema, ad esempio in piazza Umberto è arrivata Ornella Muti. Si parla di editoria, spettacolo, di futuro della televisione e anche di calcio: Urbano Cairo, presidente di Rcs Mediagroup, di La7 e del Torino, inaugura la prima giornata. "Io nel Toro ho messo vent’anni della mia vita, amo il Toro", dice Cairo ai giornalisti, ma anche ai tantissimi tifosi che gli chiedono selfie, autografi, video e notizie fresche. L’occasione è interessante per fare una riflessione sul futuro dello stadio Olimpico Grande Torino, sul quale a metà settimana l’amministrazione comunale di Torino ha annunciato che le ipoteche non saranno rinnovate. Finora ne avevano imbrigliato il futuro e frenato il processo di vendita a un privato. "Ho visto il sindaco di Torino (Stefano Lo Russo, ndr) al mio compleanno, ma non abbiamo parlato — racconta Urbano Cairo —. Lo stadio è una cosa che a noi interessa, ma non voglio mettere le mani avanti o dire qualcosa in più: vediamo di fare tutti i passi giusti, intanto aspettiamo quale sarà la valutazione che ne faranno. C’è un’amministrazione che, sicuramente, farà le cose in maniera molto equilibrata". E chiude il tema: "Per una squadra di calcio avere uno stadio è importante, è un valore aggiunto".
Il futuro del Toro tiene banco. "Venendo a Dogliani pensavo che, nelle famiglie dell’imprenditoria, di solito ci sono tre generazioni — prosegue Cairo — : la prima fa cose importanti, la seconda più o meno mantiene, la terza dilapida. Per il Torino la prima generazione è quella che va dai primi scudetti al Grande Torino. La seconda è quella degli Anni 60-70, la terza è quella del fallimento del Toro nel 2005. Purtroppo, io ho preso il Toro da un fallimento, in un momento in cui non c’era niente, ma sono ripartito e, quindi, sono una nuova prima generazione e sono sicuramente meglio della terza generazione". Il 2 settembre festeggerà vent’anni di presidenza. "Non ho ancora nessuno che mi abbia chiesto il Torino — dice Cairo —. Se dovessi venderlo, lo metterei nelle mani di persone che siano adeguate, che abbiano capacità e disponibilità economiche. Non ho contatti con nessuno che mi abbia dimostrato intenzioni serie. Ma, come ho sempre detto, se arriva qualcuno con passione e disponibilità, io sono sempre pronto. Qualora lo vendessi, lo darei in condizioni migliori rispetto a come l’ho preso io dal fallimento del 2005: all’epoca non c’erano manco i palloni, adesso c’è una squadra con 15 nazionali. Siamo in Serie A da 13 anni consecutivi, otto volte siamo stati dalla parte sinistra della classifica. E abbiamo strutture molto diverse rispetto al 2005: oggi abbiamo il Filadelfia che, se è nato, è anche perché noi ci siamo dati molto da fare, ovviamente insieme ad altri. Il centro sportivo Robaldo per le giovanili è quasi pronto, lo inaugureremo a breve e abbiamo anche un vivaio che sforna giocatori di buona qualità".
"A Giorgia Meloni do un voto positivo", dal palco del Festival Cairo promuove l’operato del governo: "Ha buone relazioni internazionali e ha saputo dare stabilità al Paese. Una cosa innovativa e rivoluzionaria sarebbe avere non uno ma cento soggetti alla spending-review che intervengano sugli sprechi. Io in politica? Non riesco nemmeno a pensarlo avendo un’azienda con 4500 dipendenti e 5000 collaboratori. È impossibile, dovrei vendere tutto". Intervistato dal giornalista Mario Calabresi, riflette sul momento dell’editoria. "L’editoria italiana è in una fase di grandissima trasformazione — dice —: si sta passando da una fase analogica a una sempre più digitale che oggi è influenzata dall’intelligenza artificiale, per cui è davvero importante saper correre molto velocemente". Sulle prospettive della carta stampata dice: "Da quando sono arrivato in Rcs abbiamo mantenuto un discreto livello, si è molto sviluppato il mondo delle copie digitali: quando arrivai avevamo 60.000 abbonati digitali, oggi siamo a 700.000 per il Corriere della Sera e a 250.000 per la Gazzetta dello Sport. Questo mondo è in una veloce trasformazione, noi stiamo cercando di anticiparla per essere pronti a seguirla e possibilmente a condurla". Prima dei saluti, ricorda che "quello che mi manca è una radio, una mia vecchia passione. Ci sono andato vicino molte volte, ma ora la vedo difficile". E conclude: "Qual è il mio sogno? Adesso ne ho uno bello, ma se lo dico non si realizza".
La Gazzetta dello Sport